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Risonanza, biforcazioni e fluttuazioni

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01 maggio 2017

Vico / Cartesio

Vico sosteneva che il vero e il fatto si convertono reciprocamente; Cartesio partiva dal presupposto del Cogito[1] ergo sum sostenendo che, dall’esser propria dell'uomo la facoltà di pensare, di riflettere, di immaginare, di dubitare, di progettare, di meditare, di manifestare intenzioni o disposizioni, l'uomo esiste.
Sembra che entrambi abbiano ragione anche se le due proposizioni appaiano contraddittorie.
Ma non lo sono, perché la verità abita solo nell’essere e non nel divenire. Infatti, Vico dice una banalità che non ha bisogno di spiegazioni. Cartesio, pure, considerando che nel cogito riassume tutte le geniali idee maturate nella sua mente eccelsa perché, tradotte in fatti (l’insegnamento e le pubblicazioni), non sono l’essere suo, ma le opere criticate dallo stesso Vico.

Giambattista Vico è il grande filosofo napoletano, che, tra le sue argomentazioni in questo dibattito, scrisse che la storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose.
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Vico sembra già anticipare l’ontologia che conduce al trascendentale moderno in quanto, nella storia, il pensiero non coinvolge l’essere ma solo il divenire delle cose. Ne consegue che dalla dinamica delle cose elaborate dal pensiero, s’immagina l’essere attraverso una forma di metafisica chiamata della doppia necessità: Dio ha bisogno del mondo per essere Dio, e il mondo ha bisogno di Dio per essere il mondo.
Un distacco tragico tra Dio e natura che la ragione tenta vanamente di riconciliare. Così l’uomo si trova perso in una realtà dove nessun progetto può essere realizzato per mancanza di una comune finalità esistenziale perché la ragione lo porta a confondere il fine con il mezzo avvolgendolo in un circuito chiuso dal quale esce null’altro di ciò che è già prodotto.
Manca la fede, e la ragione è incapace di sostituirla se non con la stessa illusione propria di un trascendente in contraddizione col divenire della natura che, nella sua immanenza, non offre prospettive progettuali di vita se non in forme di puro compiacimento materialistico. La mancanza di fede conduce anche all’annullamento dell’essere, il ché provoca l’incapacità di produrre quel riflesso creativo necessario per suscitare nelle imprese umane le forze necessarie per un sostanziale equilibrio con la natura. Nelle sue manifestazioni, l’uomo è soggetto a un errore che s’identifica nella malvagità, in altre parole nell’avere coscienza di operare il male. Il bene e il male non conseguono dall’effetto delle azioni umane, ma originano dall’insieme dei mezzi usati nei quali è implicito il rischio proprio del progetto in atto. Il successo non è ottenibile automaticamente, ma con la volontà e la determinazione che l’agente esplica nell’assumere coscienza delle intenzioni nell’orientarle in senso malevolo o benevolo.
L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli «ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano [2]
Nei tempi vichiani, gli ordini civili erano la religione, la giustizia, il diritto e la libertà della Persona correva tra quegli ordini. 
Oggi, invece, gli Ordini civili dobbiamo ritrovarli in un mondo che "è tutto ciò che accade all'uomo, nella natura".
Gli ordini civili sono sei individuati in queste discipline: Psicologia, Sociologia, Economia, Equità, Diritto ed Etica. 
Si può ben dire che l'umanità ferina e primitiva, con buona volontà di tutti, potrà essere domata quando tutti, consapevolmente, conformeranno il modo di agire secondo progetti condotti nell'ambito di questi sei ordini distinti nei livelli A, B, C, D, E. .





[1] La traduzione del verbo cogito esposta a seguito in una sequela di verbi italiani, è ricavata da Nomen, il nuovissimo Campanini e Carboni.
[2] La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), p. 45, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.)
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Brano tratto da pag. 114 a pag. 116 di Oltre il tempo - Uomo e Persona.

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