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Risonanza, biforcazioni e fluttuazioni

  Sul dilemma tra necessità e possibilità, ritengo sia determinante l'intervento di Ilya Prigogine, laddove, nella processualità...

06 febbraio 2012

Due ideologie per un’idea


Carlo Rosselli
Qui non dichiaro verità trascendentali da ascrivere all’empireo delle idee pure, ma desidero esporre fenomeni concreti e stabili legati alla natura stessa delle cose.
Associo il Gruppo sociale alla fisicità degli elementi che lo costituiscono che sono l’insieme d’individui che camminano in piazza, tra i quali, nessuno fa mostra di sé e, disgiuntamente, l’uno dall’altro, tutti non mostrano di avere cognizione logica di ciò che fanno.
Sezionare i Gruppi in base al modo di apparire significa costruire mostruose falsità che conducono a processi di scomposizione e di compattamento che conducono a enunciare quelle teorie fondate su fatti deformati, tanto disprezzate da Pareto.
L’uomo in società è il contenuto della Piazza, una realtà immutabile che si mantiene indivisa e si ricompone continuamente per effetto degli sconquassi causati dalle Follie.

Libertà

L’uomo in piazza vive nell’immanente; nella Coscienza di costui come persona c’è un trascendente che accomuna tutti con l’idea di tenersi uniti per qualcosa. La Libertà di essere nella Piazza si manifesta come un Bisogno primordiale per soddisfare il quale c’è un prezzo in termini di vincoli che sono il corrispettivo per l’Essere nella Piazza.
L’uomo in piazza è la Persona che interagisce solo per questa Libertà, e la struttura sociale si forma purché il suo ambito negoziabile non sia corrotto da diritti invasivi di natura collettiva che presuppongono doveri corrispettivi non richiesti.
Lo Stato quale lo osserviamo oggi, è creatore di questi diritti; induce a considerare, come prioritari, sentimenti che esulano dalla sfera personale e famigliare e, attraverso un intreccio di diritti e doveri, sottomette le scelte della persona al vincolo di uguaglianza e di solidarietà, sicché la libertà sia indotta a divenire essa stessa un diritto. Affermare che la libertà sia un diritto, è già uccidere la libertà. Il sentimento del diritto nasce non dalla libertà ma esclusivamente dai vincoli connessi al tessuto sociale. Si nasce liberi. Non si nasce col diritto di essere liberi!
Se ho diritto, di essere libero, vuol dire che la mia libertà è strutturata secondo norme giuridiche che esulano dalla deontologia e, allo stesso tempo, la modifica a tal punto, che gli atti stessi, anche quelli senza rilevanza sociale, non siano più il prodotto di scelte personali ma forzature che offendono l’autonomia operativa che costituisce il motore dell’autodeterminazione.
In sostanza, nell’immanente, il costo sociale della libertà è rappresentato dai vincoli che i soggetti riuniti in società sono disposti o costretti a sopportare per la conduzione dell’esistenza. Nel trascendente, c’è tutto il resto: la persona e la sua esistenza, e, senza alcun vincolo, la libertà, mancando la quale subentra la paura.
Questa Verità è il primo assioma che regge il paradigma dell’esistenza della persona nella società.

Proprietà

Il secondo assioma interessa i vincoli che gravano sulla proprietà dei beni e dei mezzi per produrli. A mio parere, a questo paradigma, si contrappone la Falsità di chi vuol costituire e reggere la società diversamente, come assicurare il benessere distribuendo ad altri i beni di chi già li possiede, col protesto di costruire una fantomatica e impossibile giustizia sociale che in realtà porta solo vantaggi a chi vuole di più solo per sé.
Questo errore nasce dal non credere che, giusta o ingiusta la ridistribuzione dei beni, quando ci sia abbondanza di beni, togliere agli uni per dare agli altri, oltre che ingiusto, compromette la possibilità di produrne in modo sufficiente per tutti.
Il classismo nasce dall’erroneo convincimento che la ricchezza sia un male e che debba essere distrutta. In realtà la ricchezza è un bene: il male lo fa il ricco che spende male e lo fa anche il povero quando spreca quel poco che ha!
Togliere all’uno per dare agli altri al fine di conseguire un maggior benessere, è quindi una delle tante Falsità che alcuni enunciano come Verità sulla quale pretendono di attuare un progetto politico.
La proprietà nasce dal sentimento inviolabile di possesso di tutto ciò che si fa, si produce e si dispone. Questo sentimento coinvolge la libertà di negoziare ciò che si dispone, violata la quale si sconvolgono gli assetti individuali che costituiscono le basi per il soddisfacimento del bisogno sin, dal non esserne più liberi, ma vincolati.  
Questa Verità è il secondo assioma che regge il paradigma della libertà di possesso e conseguente svincolo dal bisogno.

Cultura

Più sopra ho richiamato, oltre al lavoro che, nella sua più larga accessione, garantisce il sostentamento di tutti i componenti del gruppo, anche l'istruzione e, al riguardo, un’altra grave falsità pesa sul nostro vivere civile! Molto grave perché riguarda la vita delle future generazioni: quella che induce a equivocare sugli stessi concetti di conoscenza, cultura, istruzione e insegnamento sorretti dalla libertà di culto e di parola.
Si vorrebbe sostenere che l’organo atto a presiedere alla cultura debba avere natura pubblica limitando l’offerta esclusivamente a ciò che i diversi organi dello stato siano in grado gestire. In realtà, col termine pubblico, si dovrebbe intendere un sistema culturale aperto e a disposizione di tutti indipendentemente dall’essere di origine pubblica o privata. Ad esempio, che il sistema scolastico sia di proprietà pubblica o privata non ha nessuna importanza, purché l’istituzione sia efficiente e risponda a principi uniformi d’insegnamento in materia di cultura civica e linguistica.
Invece, si vorrebbe uniformare la cultura a certi standard ideologici in modo che la scuola e tutte le istituzioni culturali diventino strutture burocratiche e veicoli d’indottrinamento.
La Cultura deve vivere e prosperare sotto forma di offerta incondizionata dai vincoli politici, giuridici, sociali ed economici; deve peraltro sottostare all’etica che gli operatori e i fruitori considerano essenziali al vivere civile e, più in generale, al rispetto della libertà di tutti.
Questa Verità è il terzo  assioma che regge il paradigma della libertà di parola e di culto.
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La Verità nasce dalla Fede e dall’Esperienza: talvolta l’esperienza conferma l’esattezza di una teoria; talvolta l’esperienza non produce una teoria ma risultati che, nell’insieme, formano un ragionevole convincimento per le parti la cui sperimentabilità non sia affidabile. Mi pare il caso di ripetere che la maggior parte degli atti umani non può reggersi su Verità parziali, ma solo su Ragionevoli convincimenti secondo le conoscenze e le esperienze acquisite.
Al riguardo, la Comune fede condivisa è capace di assimilare il cambiamento, aggiornando i modi comportamentali, senza stravolgere i parametri Veri precostituiti e propri del progetto originario.
Senza una guida unitaria sorgente dai valori tradizionali s’infligge un danno alla propria e alle generazioni future e si tocca la nostra stessa libertà di vivere. Uno per uno, i guasti si creano  quando si crede di alleviare un disagio sociale attraverso pesanti interventi nei rapporti interpersonali che devono sussistere solidi nel rispetto delle istituzioni di riferimento per la promozione umana.
Qui ne faccio solo un’elencazione citando le false convinzioni che ne sono alla base:
1.       Credere che il divorzio sia risolutivo per i problemi di coppia. In realtà si distruggono le famiglie per formarne altre sulle quali potrebbero gravare nuovi divorzi.
2.       Credere che il controllo delle nascite sia risolutivo per stabilire l’equilibrio demografico. In realtà si rischia di realizzare dei gap generazionali preoccupanti, come lo dimostrano i casi nella Cina.
3.       Credere che la libertà si consegua dall’eguaglianza. Le cosiddette pari opportunità, considerate come un diritto, sono un’arma a doppio taglio perché l’uguaglianza si ottiene solo per ciò che si è capaci di fare e non perché una persona è uomo o donna, oppure perché è diversamente abile. In realtà, si costituisce una sorta di diritto dell’incapace, quando invece, in una società ben strutturata tutti dovrebbero godere delle opportunità appropriate per le corrispettive capacità reali.
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Non è qui che voglio dilungarmi per rappresentare come operare l’integrazione dei Convincimenti immutabili nelle persone che subiscono grandi cambiamenti nelle loro abitudini di vita. Ho tuttavia sollevato la questione per sottolineare quanto sia importante il rapporto Verità-Fede che si regge solo su una tautologia: Non c’è Verità senza Fede e non c’è Fede senza Verità.
La Convinzione di non poter disporre niente di diverso per agire correttamente, ci porta a essere convinti che tutto ciò che la contrasti la Fede sia falso. Essa è sola nel sorreggere ogni azione che l’uomo voglia intraprendere. Ciò è spiegato in modo magistrale nel primo versetto al Capitolo Undici della Lettera agli Ebrei:
La fede è un modo di possedere già le cose che si sperano, di conoscere già le cose che non si vedono.
Non si parla di Verità! La Verità è sottintesa ed è unica perché non sarebbe Verità. Si parla di Fede in qualcosa che si possiede; in qualcosa di comune a tutti, spinti a formare un'Idea per il progetto da condividere. Trattasi di Idea che non ha bisogno di Ragione: diventa Verità dal momento della sua condivisione ovvero  quando tutti agiscono secondo comunanza d’intenti.
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Con quanto detto, intendo sostenere che il Modello sociale - perché sia attuabile - deve reggersi sull’Idea - obiettivo condivisa e insita nel Paradigma nel quale la società intera è coinvolta. I governanti cercano di plasmare la Gente secondo questi modelli, ma hanno difficoltà ad attuarli per un ammanco di consenso!
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